Diagnosi cancro: un cane italiano fiuta quello alla prostata
È un metodo di diagnosi cancro forse per molti aspetti un po’ anomalo, ma gli ottimi livelli di risultato (circa il 98% dei casi) dimostra la sua efficacia: stiamo parlando di Liù, il cane dell’esercito che tramite l’odore delle urine riesce a capire se il paziente è colpito da questo fenomeno o meno.
La diagnosi cancro di Liù
Il cane Liù lavora nel reparto dell’ospedale Humanitas di Castellanza da ormai cinque anni e nel reparto di urologia le sue diagnosi cancro sono ormai un’abitudine. Liù riesce a capire se in un paziente ci sono tracce di tumore alla prostata annusando semplicemente le urine.
La scoperta ha una portata molto importante per diversi aspetti. Innanzitutto a livello di prevenzione, in quanto queste tracce che Liù fiuta sono tracce della malattia che non si è ancora sviluppata, quindi contrastabile per tempo. L’altro grande vantaggio è in termini di ricerca; dal fiuto di Liù si è capito dove concentrare le ricerche e dove – e come – sviluppare nuovi metodi medici di analisi, prevenzione e cura.
L’olfatto dei cani nella diagnosi cancro
Niente di magico, insomma; è noto come i cani abbiamo sistemi e capacità di percezione diversi – e in alcuni casi più potenti e profondi – da quelli dell’uomo. La novità semmai è quella di saperli ascoltare e utilizzare a vantaggio della salute dei pazienti.
Come raccontano i medici che quotidianamente lavorano con Liù: «Ci ha dimostrato che il tumore ha una molecola caratteristica, anzi caratterizzante, e per questo il cane riesce a riconoscerla subito grazie al suo olfatto. Con l’aiuto del cane, da questo momento in poi, speriamo di individuare questa molecola e di riuscire a isolarla. A quel punto la diagnosi precoce e la prevenzione saranno molto più semplici». E ancora: «Temevamo che fosse entrata in confusione. Segnalava qualcosa di strano sui campioni di un paziente a cui i medici avevano diagnosticato un tumore alla vescica. Era strano perché Liù è addestrata a riconoscere solo il cancro alla prostata e per questo credevamo fosse incappata in un clamoroso errore. E invece si è scoperto successivamente che quel paziente aveva sviluppato anche il tumore alla prostata».